Nisida

Nisida

giovedì 24 novembre 2005

I MIEI RICORDI ..... 25 anni fa


Una domenica tranquilla, tutti a casa
mi stavo preparando per uscire, ero in camera da letto.
Un rumore strano mai sentito che risulto' poi essere rumore di vetri che si torcevano senza rompersi. La terra comincio' a tremare e l'armadio spalanco' le ante. Un rumore come un temporale lontano, scricchiolii dappertutto.
Il nonno che guardava la tv la spense con calma, ci fece mettere tutti sotto l'arco del pilastro centrale e sempre con calma spense il gas sotto la macchinetta del caffe' e ci disse di aspettare.
Aspettammo, il tempo si dilatava e la scossa non finiva mai e noi tutti zitti, neanche il coraggio di fiatare. La porta di vetro dell’ingresso, quella interna si apriva e si chiudeva e il lume oscillava come un pendolo. Noi tutti in piedi sotto l’arco del pilastro, ci sembrava di stare su un treno in corsa.
Finita la scossa, sempre seguendo il nonno scendemmo per le scale senza prendere nulla, lentamente, avevamo tutti le gambe che tremavano e ci radunammo sul piazzale con le altre persone che uscivano dai palazzi.

Ricordo che guardavo giu' le luci del lungomare, il mare calmo, la luna e tutti gli edifici, le luci e non riuscivo a credere che tutto fosse rimasto al suo posto. Mi aspettavo un mare di macerie forse.
Per me era come se fosse crollato l'universo intero.
Di quella sera ricordo questa assoluta calma, il silenzio di noi tutti che obbedivamo alle brevi indicazioni del nonno e la sensazione di trovarsi su un treno in corsa su cui è difficile stare in equilibrio. E la paura, una paura viscerale, qualcosa di atavico.
Duro' un minuto ma a me sembro' un'eternità. Allora pensai che l’avevamo scampata e che forse in altri posti non erano stati così fortunati.
Allora le comunicazioni non erano facili, i telefoni non funzionarono piu’ e ci furono solo i radioamatori a mantenere i contatti con i paesi isolati.
Eravamo sul piazzale dove sistemammo delle auto e ci ricoverammo vecchi e bambini. Cominciammo a vedere file di auto cariche di persone che lasciavano la città diretti alle seconde case. L’autoradio dava scarne notizie, si comincio’ a parlare di qualche decina di morti, l’epicentro in Basilicata.
Era ormai mezzanotte e i miei decisero di tornare in casa a prendere dei generi di conforto, coperte, cognac e biscotti. Era tutto a posto e così dopo un’ora tornammo in casa per sentire la tv che annunciava probabili scosse di replica. Ce n’era già stata una verso mezzanotte ma quasi non ce n’eravamo accorti, impegnati a sistemare bambini e anziani. Crollai sul divano vinta dalla stanchezza e dall’emozione che mi aveva spezzato le gambe.
Alle 5 del mattino mi svegliai con la sensazione che il pavimento ballasse di nuovo. Ecco, pensai, adesso le lo sogno pure il terremoto e continuai a dormire.
Il mattino dopo cominciarono ad arrivare le notizie vere ma ancora scarne. E nel corso della giornata sapemmo che interi paesi erano stati distrutti ma ci vollero molti giorni per capire la vera portata del disastro.
A Napoli era crollato un palazzo a Poggioreale dove morirono 53 persone. Molte abitazioni del centro storico furono dichiarate inagibili e molte strade transennate e così rimasero per moltissimi anni.
Il freddo improvviso dopo quella domenica inspiegabilmente caldissima complico’ le cose e rese piu’ difficoltosi i soccorsi. Una gara di solidarietà inizio’ a far affluire al sud vestiario invernale, roulotte, generi di prima necessità.
Ci mettemmo in lista in Prefettura per trasportare le roulotte nei centri colpiti del cratere e ricordo un viaggio verso Calitri, sotto la neve, dove ad un certo punto la strada era spaccata in due e passammo mettendo tavole di legno. Arrivati in paese trovammo il sindaco, seduto ad un tavolino nella piazza, che smistava gli aiuti e consegnava ricevute di quello che avevamo portato.
E poi Pagani, Conza, San Mango, Mirabella Eclano. Una cucina da campo montata in fretta e furia per preparare un pasto caldo in quel gelo. E l’esercito che continuava a scavare e tante bare e alla fine mucchi di calce viva. E poi il seguito lo vedevamo in tv, l’attacco di Pertini che visitava le popolazioni colpite, la dignità di chi aveva perso tutto. E’ dura ricordare, scrivere è come rivivere quei giorni e i ricordi affiorano vivi, anche quelli che credevo cancellati.
Giorni fa ne parlavo a mio figlio, gli raccontavo che il giorno dopo avevamo fatto il giro della città per vedere se c'erano ancora i luoghi a noi familiari, ma spiegare il terremoto a chi non lo conosce è cosa inutile. Solo quando lo hai sentito il terremoto non lo scordi piu', non puoi. Un terremoto non si racconta, lo si vive.
E continui a vivere per anni tremando se passa un bus e vibra il pavimento e guardi subito verso il lampadario per vedere se si muove.


E speri di non vederlo piu' nella tua vita, ma quando in tv vedi che è accaduto ancora in un'altra parte del mondo, quelle montagne di macerie, quella gente che scava con le mani nelle pietre, le bare che non bastano piu', allora ricordi nei minimi particolari quello che ormai fa parte del tuo vissuto.

14 commenti:

  1. grazie di averci regalato i tuoi ricordi, di avere rivissuto quei momenti socializzandone la memoria.
    ti abbraccio

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  2. ero troppo piccolo per ricordare, ma conosco i racconti di mia madre... e ricordo quando ero piccolo i palazzi puntellati a Napoli credo fino ai primi '90... sono stato a Calitri questa estate, il centro storico è ancora lì, pericolante ed ormai inabitato...

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  3. Bello! Appena avrò due minuti posterò anche io sul tema. (prima del 50° anniversario)

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  4. Ricordo alcuni fotogrammi di un servizio TV: un bambino che si era salvato dal terremoto andava continuamente a vedere la sua casa crollata. Sotto quelle macerie c'era suo padre.

    Anna_AR

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  5. ma tu sei giovanissima!!! con un figliolo che va all'università? "troooppo toga", Rien, come al solito :-)))
    Carolina

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  6. La sindrome del reduce, ecco cos'è.
    Io i miei ricordi non li racconto. Sono troppo comici, direste che sono il solito cinico. Ma, 25 anni dopo, rido ancora. Sebbene da allora non ci senta quasi più da un orecchio, come George Bailey,

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  7. Toga? Lo diceva anche mio padre, che da piccolo aveva vissuto a Milano. Cavolo!! L'avevo dimenticato.

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  8. uh ma mi è sparito un commento. Ma questo Splinder che cacchio fa?

    dicevo a rochentèn che allora un poco reduce mi sentii.
    Dai racconta, non essere egoista, facci fare due risate pure a noi.

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  9. Hai ragione quando scrivi che quella paura atavica, istintiva, ti segue per anni dopo il terremoto.

    Io mi ricordo, avevo dieci anni, di aver costruito un teatrino per le marionette lavorandoci tutta la domenica. L'avevo colorato di rosso e messo ad asciugare sulla finestra (abitavo al quinto piano senza ascensore): ovviamente non l'ho più ritrovato.

    E poi mi ricordo quei gradini fatti di corsa in discesa, non finivano mai, mentre ancora il palazzo ballava e tutti i vicini fermi immobili, un passo dietro le porte, ad urlarci di non scappare per le scale perchè era pericoloso.

    E mio padre, che era a giocare a carte nel palazzo vicino, che afferrò me e mia sorella e mi trascinò via appena misi il naso fuori dal portone.

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