Nisida

Nisida

venerdì 28 novembre 2014

Abiti e astronauti

Certo, per chi ha visto Star Trek o Spazio 1999, vedere l'abbigliamento degli astronauti dei nostri tempi sa un po' di delusione.
Qui vediamo Butch Wilmore al lavoro nel modulo europeo, in t-shirt e calzoncini.
Temo anche in sandali e calzini. Vabbè si scherza, eh?




A questo link si può seguire il volo della ISS e la sua localizzazione.
http://www.ustream.tv/channel/live-iss-stream/theater

giovedì 20 novembre 2014

'O cuorpo 'e Napule

E' la statua del dio Nilo che si trova a Spaccanapoli, chiamata comunemente 'o cuorpo 'e Napule.
'A capa 'e Napule invece, chiamata anche la Marianna, si trova nell'antica chiesa di san Giovanni a Mare.
Alla statua del Nilo, appena restaurata, è stata aggiunta la piccola Sfinge, recuperata l'anno scorso in Austria dai Carabinieri.




Ed ecco com'era prima del restauro, senza la Sfinge, sporca e piena di erbacce.


mercoledì 12 novembre 2014

Teatrino nell'autobus

Sempre più spesso i miei siparietti vengono ambientati nei bus napoletani. Quando arrivano, eh?
Stamattina nel 130, mezzo che collega il Vomero con il cimitero di Poggioreale, via tangenziale.
Le porte per la discesa si aprivano e non si richiudevano più ed abbiamo assistito a questa scena: la autista ha tirato il freno ed è andata a chiudere a mano le due porte, chiedendo aiuto ad un passeggero che di buon grado si è prestato alla bisogna. Successivamente ha riaperto la porta per far scendere una signora anziana e stavolta due passeggeri (uno era la D.M., logicamente) hanno chiuso la porta che ha fatto una strenua resistenza, a spinta con mani e piedi. Un bel lavoro di coordinazione che ha dato gli effetti sperati, dopodiché tutti hanno suggerito alla conducente di non aprire più quella porta (tipo film horror).
Nel frattempo alle nostre spalle una nonna con nipotino ci ha 'nzallanuto, parlando senza interruzione al piccolino, che rispondeva con voce stentorea. Il tutto finché non siamo scesi, anche durante il teatrino della porta.
La D.M. ha detto che la "nonna automatica" è una iattura che ha beccato spesso sullo stesso mezzo. Per me è stata la prima sconvolgente volta.
Ah dimenticavo, nonna e nipote erano accompagnati dalla badante o baby sitter cingalese, non so, la quale ha taciuto sempre.

giovedì 6 novembre 2014

La rete si indigna

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Chi, il giornale che non serve neanche a incartarci il pesce, sbatte la Madia in copertina e la rete che fa? Dà del frocio a Signorini. E Signorini invoca la parità di trattamento. Perchè il calippo della Pascale meritava gli onori della cronaca e il gelato di Marianna no?
Come si fa a spiegare a Signorini (che non è frocio, è solo irrimediabilmente un cretino) che la Pascale lo faceva per lavoro in tv e la poveretta stava solo mangiando  un gelato nella sua auto con marito a latere? E poi che vuol dire "ci sa fare col gelato"? Una battuta becera di cui si sarebbe vergognato pure Alvaro Vitali se l'avesse trovata nel copione.
E qui parte l'indignazione della rete e molte fanciulle si fanno ritrarre con il gelato e tanto di cartello: "anche io ci so fare col gelato".
Ma il colpo di grazia lo hanno dato i maschietti. Gruppi di bei giovanotti si fanno ritrarre con il gelato e il cartello regolamentare "anche io ci so fare col gelato".
Aiutatemi!

Che poi ci sarebbero anche migliori motivi per indignarsi, tipo la doppia spunta di Whatsapp, che ci dice che il nostro messaggio è stato letto ma che alla persona non interessa una beata cippa e non ci risponde. Che angoscia!

'A cimma 'e scirocco

'A cimma 'e scirocco

Mentre a Roma si annunciano alluvioni, bombe d'acqua e allagamenti da tregenda, scuole chiuse, protezione civile in servizio permanente, a Napoli fa un caldo incredibile.
Dopo il picco di freddo di due sere fa che paventava la discesa del piumone dal mezzanino, pericolo scampato, restiamo con la copertella di mezzo termine.
Intanto le signore bene cacciano già le pellicce. Oggi si vedevano in giro parecchi piumini, senza pietà alcuna per le povere oche della Gabanelli mentre il Comune dava piglio alla deforestazione dei platani, spogliati vivi come da foto, colpevoli di avere acciaccato, con un ramo abbattuto dal fortunale di ieri, due persone.
Memore del detto napoletano (ropp'arrubbato 'e porte 'e fierro), il presidente della circoscrizione Vomero ha fatto sapere, tanto nessuno ci crede, che erano interventi già programmati.
Noi sappiamo invece che mettono mano sempre dopo che c'è scappato il morto e per fortuna stavolta no.
Dicevo del caldo, uno scirocco strano in concomitanza con l'estate di san Martino che mi ha ricordato un detto ormai in disuso: 'a cimma 'e scirocco.
Che in realtà avere 'a cimma 'e scirocco si riferisce alle persone, nervose, irascibili, meteoropatiche, condizionate dal soffiare dello scirocco al massimo.
Anto', fa caldo!

domenica 2 novembre 2014

Il giorno dei morti

Che non è Halloween (anzi Aulin, come dicono dalle mie parti)

Il giorno che i morti persero la strada di casa


Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.
(da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri)

Non dimentichiamo Stefano Cucchi



Ecco il commento dello scrittore Erri De Luca.

“Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita.
I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato.
Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.”


E la vignetta di Stefano Disegni sul Fatto Quotidiano