Nisida

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martedì 19 marzo 2013

San Giuseppe

Oggi ci pensavo a mio nonno, si chiamava Giuseppe ed è stato per me la figura maschile più importante.
Era un musicista, insegnava strumenti a fiato, tutti e ne aveva una bella collezione, ma suonava anche la fisarmonica.
Era molto alto e magro, mancino come me e mio figlio e anche in età avanzata (è scomparso a 85 anni) rifiutava sdegnosamente di prendere l'autobus.
Ero la prima nipote ed io ero molto legata a lui. Mi aveva insegnato a scrivere e leggere le partiture e sognava per me un avvenire nella musica. Ma mia madre non era d'accordo, nè io sentivo la passione, il solfeggio mi annoiava a morte e quindi finì che andai al classico, con sua grande delusione.
Ma qualcosa deve essere rimasto perché crescendo ho amato e amo molto la musica, tutta. E appena posso vado ai concerti, classica e leggera. Sarà stato contento il nonno, almeno per questo.
Il nonno non era credente ma era molto amico di un prete, padre Giovanni, che scriveva poesie e qualcuna la dedicava al nonno Giuseppe. Si stimavano e si sfottevano reciprocamente.
Quando ero bambina il nonno mi raccontava molte storie, sempre attingendo ai classici. A me piacevano molto i brani che leggeva dall'Iliade e dall'Odissea, poi crescendo ho capito che li raccontava alla sua maniera, infilandoci dentro situazioni attuali.
Come Andromaca che piangeva dopo la morte di Ettore perché la pensione era poca e non ce la faceva a comprare il latte ad Astianatte, oppure di quel fesso di Paride che per una mela aveva fatto succedere tutto quel casino, perché doveva saperlo che le dee in fondo sempre femmine sono, le definiva perchipètole.
Ed Efesto nella sua officina nelle viscere dell'Etna che teneva a bottega i Ciclopi che non ci vedevano bene e facevano i fulmini per Zeus tutti storti e Zeus si incazzava.
Me le ricordassi tutte almeno, quel bello spirito del nonno sarebbe apprezzato anche oggi.

Era anche un appassionato cultore della lingua napoletana, di cui conosceva tutte le sfumature. Mi spiegava l'etimologia di tante parole ed io che parlavo solo italiano lo snobbavo un poco.
Poi col tempo ho imparato ad apprezzare il tesoro che mi aveva trasmesso e mi accorgo che così naturalmente mi vengono in mente citazioni e modi di dire che chissà dove stavano seppelliti.
Mi aveva anche insegnato a scrivere il dialetto, cosa difficilissima perché pieno di elisioni e apostrofi.

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